lo stacco





































Giorno secondo
giovedì 13 agosto 2009



Imprevisto
Alle 10 siamo operativi.
Arrivati sul posto, però, ci accorgiamo che la iuta non ha aderito bene alla tela sottostante: troppo dura e trama troppo spessa. Decidiamo di sostituirla. La giornata precedente e la nottata sono state molto umide e hanno fatto sì che la colla sul tessuto non si fosse asciugata del tutto.
Ci procuriamo un pezzo di tarlatana per rinforzare il throw up. La applichiamo con la colla animale, quindi rimandiamo tutto al tardo pomeriggio, quando il collante sarà asciutto. La giornata è secca e soleggiata.
Riflettiamo sulla difficoltà dello stacco, la cui normativa è particolarmente severa perchè in passato utilizzato dagli sciacalli che s'impossessavano degli affreschi di edifici storici abbandonati. Una pratica traumatica per l'intonaco che irrimediabilmente si frattura, sebbene la superficie sia in genere molto più regolare di quella con la quale abbiamo a che fare noi. Operare uno stacco richiede permessi speciali, concessi esclusivamente in caso di degrado irrimediabile della struttura che ospita l'affresco e della muratura.
La nostra situazione marca l'illegalità, uno stacco illegale compiuto su un'opera realizzata illegalmente.
Si esegue lo stacco
Alle 17,30 valutiamo il pezzo foderato: proviamo a scalfirne il perimetro con scalpelli e mazzette, ma la colla è penetrata anche nell'intonaco circostante e l'ha consolidato: serve un flessibile per scontornarlo.
Recuperiamo il flessibile grazie alla sempre presente Associazione Madriche, pronta a reperire materiale a qualsiasi ora e giorno.
A questo punto si può tracciare una linea perimetrale profonda quanto l'intonaco.
Inizia il lavoro di scalpello per allargare la traccia fatta col flessibile e iniziare a scalzare leggermente i bordi.
Ci muniamo di sciabole (nel gergo del restauratore, una lunga e piatta barra di ferro che serve a penetrare sotto l'intonaco, a consumarlo, a tenere sollevata la parte mentre si opera con altra sciabola in altro punto). Il lavoro è faticoso, lungo e complesso, a turno limiamo, scalfiamo, stacchiamo a poco a poco l'intonaco. Chi non è di sciabola in quel momento, osserva che lo strumento non affiori rompendo la superficie, o tasta l'intonaco per cercare di capirne lo stato.
Sono quasi le 20 quando ne abbiamo staccato un terzo.
A questo punto lavoriamo tutti, dobbiamo stare attenti ai frammenti che cedono, alla mole del pezzo sospesa, tenuta assieme dalle tele incollate. A turno sorreggiamo, sciaboliamo, troviamo soluzioni come un'asse di legno grande quanto il pezzo da tenere aderente alla superficie, poi è troppo alto.
Creiamo un ponteggio di fortuna, una vecchia scrivania, larga abbastanza per sorreggere tre/quattro persone. Ormai anche il fotografo di campo deve aiutarci, e il documentarista riprende a camera fissa, perchè anche lui è con noi.
Abbiamo inserito l'asse sotto l'intonaco già staccato, tenendo una leggera inclinazione per essere pronti a porlo orizzontale.
Sembrano istanti, ma sono ore, e a un certo punto: si stacca.
È un momento concitato di cui tutti conserviamo un ricordo confuso di polvere e peso da sostenere, di agilità nel lasciare il ponteggio e porre prontamente mani sotto l'asse.
Il fotografo è completamente bianco di polvere e calcina, ma emozionato.
Il pezzo è pesantissimo. In cinque non riusciamo a sollevarlo senza rischiarne l'incolumità. Decidiamo per l'ennesima soluzione di fortuna: il cellophane!!!
il grosso rotolo passa e ripassa attorno alle estremità dell'asse. In qualche modo l'abbiamo sollevato permettendogli il passaggio.
Lo studio è vicino. Solleviamo l'asse carica del pezzo e faticosamente, con punte di disperazione, raggiungiamo la stanza adibitagli. Sono le 22.30.
Adesso è lì. Con la tela sulla superficie, contrariamente alla teoria che vorrebbe le bende a contatto con l'asse. Dovremo provvedere a girarlo, ma per far questo attendiamo i materiali adatti per creare un supporto valido e solido.

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